martedì 26 giugno 2007

EmMa

Ho curato la tua pelle
con unguenti speciali.

Immaginandoti
leggera e donna
morbida e scomposta
nel letto coniugale.

Sospiri
ora
soltanto per il dolore di una piaga
perché il decubito
è un prezzo alto pagato con il tuo vecchio portafogli.

Desiderandoti ritta
in piedi
spavalda in faccia al futuro
ho sezionato il tuo presente
soffrendo questo quotidiano che ci scruta:
me ancora giovane
e tu
legata su di una carrozzella a ruote.

Così ti ho spinta.

Un giorno
due
forse cento.

E quando hai scelto
senza poterlo fare
di non tremare oltre
su questa terra piatta
su questo sconcio globo
tua figlia mi ha guardata
e
il suo annuire
m’ha scorticato il cuore: “portala tu”.
Ancora.

Tra le mie mani.
Fino alle rose.
Sei scesa come sale
sui freschi pomodori.
In quel momento ho pianto
solo due lacrime.
Due solamente
ma grandi grandi e grandi.

Ho curato la tua pelle
Con unguenti speciali.

E ti ho portata spesso. E con me sempre: ti porto.


a colei che mi insegnò a non trattenere il fiato

domenica 3 giugno 2007

aNcHe TuTtA lA vItA

Di sicuro, ci sarà sempre chi guarderà solo la tecnica e si chiederà «come», mentre altri di natura più curiosa si chiederanno «perché» (Man Ray)


Laura si sporse verso il monitor, ravviando i capelli con la mano sinistra: la destra a tener stretto il mouse, come fossero le dita di lui a cui trasmettere affetto.
Laura si sporse verso il monitor e la stanza iniziò a profumare di festa: dalle finestre aperte, oltre al calore dell’estate intiepidito dall’ora tarda, s’infilarono conforto e compassione.
Le tende, appena mosse da un’anomala brezza, suonarono un fruscio rincuorante.
Il buio intorno si riempì di elettricità percependo le vibrazioni positive e allegre di cui gli occhi si riempirono.
Si ricollocò con la schiena tutta indietro: per assaporare una lettura lontana e distaccata.
Dosò con parsimonia ogni piccola goccia di piacere: un’ondata di calore che si dilatò nel petto e, arrivando alla gola, le tolse il respiro, scaldandole due guance ormai roventi.
Infine sorrise, alzò il mento imbarazzata e tenera: strinse le labbra in una smorfia dolce e di sollievo, aprendole con uno schiocco..
E lesse.
Prima a bassa voce.
Poi sillabando.
Ancora: con un tono più spavaldo.
Ti amo.
E la voce sbatté sulla scrivania e scivolò da quell’appartamento che la osservava sola, da anni: a mangiar minestre precotte e piccoli panini che seccavano sempre troppo in fretta.

Da quel momento: le dita si accavallarono a rispondere. Rapide come la sua gioia.

Anche io. Anche io ti amo. Vediamoci, ti prego. Vediamoci subito. Ho bisogno di te. Ho bisogno che tu mi veda. E non soltanto in foto. E ti aspetto.

Lo schermo rimase privo di parole, la chat sospesa: come il suo cuore.


Finalmente la risposta arrivò ad abbracciarla stretta.
Non sai quanta voglia ho io di te, dolce e tenera cerbiatta. Se vuoi sono subito lì.

La brevità del testo e la mielosità in quella stringatezza, non infastidirono il suo carattere duro e la scorza coriacea: era una licenza sentimentale, segnale dei tempi che stavano svoltando positivamente.
Così rispose: vieni. Ti aspetto alla finestra. E quando arrivi: sali.

E perché dovrei salire? -si dimostrò sorpreso
Per qualsiasi motivo- volle rassicurarlo
Faremo l’amore tutta la notte?- ebbe l’ardire di chiedere
Anche tutta la vita- ebbe l’ardire di rispondere

Laura si mise alla finestra ed aspettò.
All’una guardò l’orologio e considerò che erano tre mesi esatti che lo aveva conosciuto.
All’una e dieci si posizionò reggendo il mento sulle mani: di vedetta come un gatto alla finestra.
All’una e un quarto pensò che non fosse così brutta quell’attesa: foriera di passione.
All’una e venti un rumore crescente di rombi la raggiunse dal fondo della strada, salendo fino a lei.
All’una e ventitré il tuono delle moto si raggrumò come nugolo di vespe, sotto alla sua finestra.
All’una e ventiquattro le risate dal basso risalirono a schiaffeggiarla.
Lauraaaaaaaa? Ci sei? Sei pronta ad amarmi con passione? Vuoi dirmi che sei la mia troia?
Riconobbe Benatti della terza D, individuò Rastelli della seconda F, vide qualche faccia giovane e spavalda a cui non seppe assegnare un nome. Alunni, scolari del liceo in cui lei regalava di più di quanto le ordinasse la sua etica professionale, insegnando latino ed emozioni giuste. Con passione.
Sentì delle risate forti, ragazze cariche di allegria audace a raschiare il tessuto del suo cuore stranamente calmo.
Poi. Poi lo strepito sparì nel buio, da dove era venuto.
Allora lei indietreggiò fino al computer, posizionò una gamba ben distesa dietro l’altra e spiccò un salto, dopo una rapida ed elastica rincorsa.
Il quadrato della finestra la inghiottì.
Il tonfo fu sordo e privo di lamenti, sul selciato.Laura si addormentò in quella pozza, larga e sconveniente, fatta di lacrime e sangue.