sabato 15 settembre 2007

dEnTi Da LaTtE



“Il tempo lascia certi segni sulla pelle!”

Veronika accavalla le gambe e, con la mano mollemente poggiata sul ginocchio, scuote con uno scatto il capo: i capelli si muovono compatti, morbidi e profumati.

Che cosa non funzioni nella sua vita glielo domando abbassando lo sguardo sui fogli che ho davanti, nascondendo un sorriso che potrebbe offenderla.
“Tutto!” risponde, “I figli mi fanno impazzire, il lavoro è uno schifo, i colleghi dei bastardi!” e stringe le labbra, facendo una boccuccia a cuore piccola come un’unghia del mignolo.

Che cosa intenda glielo chiedo guardandola da sopra gli occhiali, muovendo la penna per regalarmi un’aria professionale e donarle un clima ufficiale.
“Intendo che i miei figli non mi capiscono: forse solo la piccola (è tanto carina, quella!) ma i grandi! I grandi sono disordinati, sporchi ed ignoranti! Vede, dottore: io vengo da lei per sfogarmi delle cose che non vanno! Le dicevo del lavoro: io vengo da lei per dirle che sono molto bella, molto intelligente e molto brava. Eppure! Eppure al lavoro nessuno, nessuno lo capisce! Le dicevo dei colleghi: io vengo da lei per dirle che sono tutti cattivi e pettegoli! Pettegolissimi!”

Veronika scioglie le gambe e, con la mano sensualmente appoggiata dietro la nuca, mostra un sorriso indisponente, larghissimo e precario.
“Solo lui! Lui solo mi capisce!”
Domando muto, solamente con un interrogativo di sopraccigli alzati.
La risposta è un canto civettuolo.
“Che amore! Mi bacia sulle scale e nel salotto: preme le sue labbra sulle mie labbra e mi abbraccia forte. L’ho raccontato alla mia amica Betta: le emozioni che è capace di regalarmi quell’uomo sono indescrivibili! Anche la mia bimba ci ha visti, senza farlo apposta: mentre lui mi alzava la gonna e accarezzava sotto-sotto e allora io l’ho scoperta e le ho urlato “Cosa fai? Mi spii?” e le sono corsa dietro e sciaff e sciaff, due belle sberle sul culo…”
Il silenzio dura un secondo: “Ho detto culo: non volevo!”
Che non importa è una frase che pronuncio a bassa voce, sorridendo rincuorante.
Poi le chiedo come sia il comportamento di suo marito.

Rimane a fissarmi, zitta e immobile, per otto minuti e mezzo.
Alla fine di quell’eternità salta giù dalla sedia e ha di nuovo nove anni: “Papà non dice mai una parola. Ora posso andare di là e leggere un Topolino, fino a che non mi vengono a riprendere?”
“Vai pure: ci rivediamo la prossima settimana”


“Il tempo è implocabile, dottore!”
“Si dice implacabile, Veronika, si dice implacabile” ma già non mi ascolta e, uscendo dallo studio, canticchia una canzone da cartoni animati.