C’è un grande armadio, chiuso.
Stammi ad ascoltare, Gesù Benedetto Santo e Buono.
C’è un grande armadio, chiuso.
Porca di una troia e puttana lurida e bagascia.
Queste parole mi colano fuori dai pensieri: marcate, a fuoco, dentro alle orecchie.
Ho due occhi grandi da cane.
Due occhi enormi con le ciglia lunghe.
Stammi ad ascoltare, Gesù Benedetto Santo e Buono.
Perdonali per ciò che dicono e pensano e dico e penso: porca di una troia e puttana lurida e bagascia.
Sull’anta di quel mobile serrato ci sta appiccicato uno specchio con dentro il mondo: il muro foderato spesso di carta a fiori viola e rossi, la Madonna col Bambino che tiene le braccia a conca cariche di riccioli d’oro, il comodino con l’abat-jour-finta-candela, la testata del letto matrimoniale in ferro battuto.
Seguo con gli occhi proprio il metallo a cui sono appoggiati i cuscini, fodere rosa spiegazzate e stanche di pensieri: foglie rigide e finte, a disegnare ombre sul copriletto raggrumato al centro.
Su quel grumo: io.
Dentro a me stesso un sapore forte di cuore che batte forte.
Lo sento sul palato: è gusto di paura.
Puttana di una troia.
Mi esplode il petto.
Puttana lurida.
Sento che arriva.
Bagascia.
Saliva calda che si apposta sulla lingua, sangue che pulsa contro alle tempie, polsi doloranti che scricchiolano da dentro.
Gattono fino al fondo del materasso e sto a fissarmi, dentro alla lastra che mi riflette: ho sette anni e devo star tranquillo, Gesù Benedetto Santo e Buono.
Ho sette anni e mi fisso mentre mi fisso, con quei due occhi grandi da cane.
Vorrei chiamare ma, dall’altra stanza, arrivano parole che conosco bene.
Allora mi sorrido e mi guardo rispondere al sorriso.
Poi casco ad arti all’aria, come uno scarafaggio sulla corazza: porca di una troia e puttana lurida e bagascia.
La schiuma ai lati delle labbra è spessa ed insapore.
Prima di voltare gli occhi all’indietro prego Gesù, ancora, Benedetto Santo e Buono.
Winnie the Pooh appare saltellando fin sulla mia pancia: boing-boing.
Rimbalzo di riflesso anch’ io, con una risata a scatti: finalmente da bambino.
“Cheffai?” mi chiede l’orso, con una zampa sulla maglietta rossa e l’altra a sfregazzare il mento, l’espressione stupita.
“Niente!” rispondo, “La solita crisi!”
Dragon Ball mi spunta, in modo brusco e statuario, sopra la testa.
Le braccia tese a scaldarmi di onde energetiche, le gambe larghe per cercare di non perdere equilibrio e reputazione: “Fatti coraggio!” mi urla quasi, “Fatti coraggio!” ripete abbassando testa e sguardo sul mio corpo che freme delle convulsioni rapide come scariche continue.
“Non credi di dover chiamare la tua mamma?” e la voce arriva da verso il lampadario.
E’ un pesce pagliaccio che nuota nell’aria.
“Lasciamo perdere. Adesso sta discutendo con papà. Pensi le piacerebbe essere disturbata per venir qui a guardarmi mentre mi piscio addosso?”
E poi?
E poi mia nonna.
Mia nonna compare sulla soglia: grassa e bassa, con il vestito a piccoli fiori azzurri di sempre, il grembiale a scacchi marroni legato molle alla vita.
“Matteo, Matteo! Sempre a farmi preoccupare!”
E mi rassereno, mi rassereno un casino.
Mi rassereno mentre la guardo e ne sento il profumo di colonia antica.
Mi rassereno e aspetto che si avvicini: cammina quasi volando, a dieci centimetri da terra, mentre il pavimento è carico di puffi festanti che emettono strani versi.
Vedo ognuno sforzando il collo verso il basso e rialzandolo per dire a quell’aroma di persona che mi ama che è contraccambiata.
Ma le figure di tutti sfocano e lasciano soltanto suoni e rumori, borbottii e cantilene.
Piccole canzoncine da bambini. Trullallà-trullallà.
E tac: la luce, quella grande, si accende.
Via tutto: Winnie, Dragon, Nemo, nonna…mi senti? Mi senti?
Quando le scosse si chetano mi ritrovo coricato come un vitello: le quattro zampe unite da una ipotetica fune.
Mia madre mi accarezza la fronte con una pezzuolina umida.
Io penso alle bestemmie che sanno uscire da quella bocca, lei ripete che ormai è passata e che non serve a niente aver paura.
Io dico nella testa, senza la voce, che Gesù m’ha salvato un’altra volta.
Gesù Benedetto Santo e Buono.
Poi entra papà e, ai piedi del letto, sgrana un paio di bestemmie contro la malattia che mi rende diverso.
Perdona ciò che dice e pensa, m’immagino.
Perdona lui.
E me.