venerdì 31 luglio 2009

Dietro le tende il coraggiO


Risento come musica, odore di peperoni in agrodolce e sbattere di posate lungo il contorno della terrina che li conteneva: piccoli pescetti rossi fatti di verdura.
Dietro il banco tu, carminio come gli ortaggi, sfuggente come un pesce davvero.
“E poi … poi m’aggiungi anche due etti di prosciutto?”
Nel chiederlo mi sporgo verso il profumo di formaggio e ti guardo strizzando un poco gli occhi, per metterti meglio a fuoco: adagi l’insaccato sull’affettatrice e spingi con il polso la montatura degli occhiali, perché aderisca opportunamente alla base del naso. Probabilmente hai bisogno di focalizzare anche tu: pensieri che sembran sgusciare sulla lama che gira, con quel fischio tipico e ritmato.
“Penso sarà difficile …”
Lo sibili come parlando a te stesso ma è una confidenza che m’investe e allarga il cuore di sorpresa.
Lo sussurri senza guardarmi, a testa bassa; poi sollevi gli occhi e , dopo aver considerato –grato- il mio sorriso che ti dimostra comprensione, scavalchi la cliente che sono e osservi un punto, distantissimo, fuori dello schermo che ci sta consacrando complici al mondo.
E’ lo stesso film che scruto dai pochi anni che abito qui e tu dai ventisette che ci hai trascorso interi: un’onda morbida e verde, il cielo basso fatto di azzurro compatto e privo di nuvole.
Ai lati dell’inquadratura c’è un grigio sporco talmente minimo da far sembrare irriverenti i tuoni che ci cadono nelle orecchie, da lontano.
Un alito d’ umido, idea d’acqua che si rivelerà a breve, ci raggiunge soffiato attraverso il sipario fatto a liste di spessa plastica che separano il tuo negozio dal resto del mondo langarolo.
“Sarà difficile” riprendi incartando le fette di cotto con una lentezza bella da studiare “perché, quando andrà via, a me non rimarranno che queste colline, senza più respiro … e lei si scorderà di me”
“Magari imparerà ad amarti ancor di più”, provo
“Pur se la lontananza sarà tanta?” mi fissi ora con l’ansia di una risposta che ti salvi, porgendomi pacchetto e speranza
“Proprio perché la lontananza sarà tanta”, mento.

Quando mi mostri la schiena, girandoti per sistemare coltelli e taglieri, ne approfitto per scivolare alla cassa, pagare e tornare nel senso dell’azzurro che si è rimpicciolito: muovo le strisce della tenda alla quale c’è attaccato un piccolo sonaglio.
Quel segnale, come di campanella, copre la prima parte della frase e, mentre scuoto sorridendo la mano, già al di là della vetrina, me ne arriva solo l’ultima: “… come diceva Cesare Pavese”.

Un mese dopo, attendesti la partenza del tuo amore: salutandola, fintanto che il treno slacciava le sue briglie da quella terra di rugiada, neanche una lacrima scivolò dagli occhi.

A casa il fragore del fucile fu come quei tuoni che paion sfacciati e fuori mano: squarciò la stanza ma rotolò discreto verso il paese, solleticando
proprio quell’onda morbida e verde, con un cielo basso fatto di azzurro compatto e privo di nuvole.
Trovarono un biglietto, le parole coperte dal suono delle tende:
“Basta un po' di coraggio”.